La maschera ha assunto, da tempi remoti, vari significati, talvolta la volontà di nascondere le proprie fattezze umane con sembianze zoo-forme, usanza combattuta da istituzioni religiose, poiché allusione ad un annullamento delle differenze tra umano e animale; talaltra per evocare i defunti che, come presenze ctonie, avrebbero dovuto aiutare le attività agropastorali, in un periodo di rinascita per quell’ambiente produttivo, cioè la primavera. Le maschere indossate dai bambini comparivano, e continuano a comparire in alcuni casi, durante i passaggi ciclici stagionali, a cavallo con le feste natalizie, con l’arrivo del nuovo anno, o con le ricorrenze prima carnevalesca e poi pasquale, o durante il periodo autunnale, dal giorno della commemorazione dei morti al giorno dei festeggiamenti per San Martino. I bambini, sempre mascherati, giravano per le vie dei centri abitati chiedendo offerte o cibo. Ecco che è importante approfondire il caso di Gioiosa Marea, paese in provincia di Messina.
Il carnevale gioiosano era originariamente caratterizzato dalla presenza dell’orchestrina “La Murga”, diretta da “Il Murgo”, vestito con un frak e un cilindro. Questa orchestra suonava strumenti provenienti dall’Argentina, portati in Sicilia al ritorno dei migranti in terra natia. Tra questi strumenti vi era un trombone nato nel 1815, e la “Brogna”, conchiglia suonata a fiato. Grande esempio di sincretismo tra due differenti culture.
In questo borgo marinaro possiamo denotare il legame venutosi a creare tra cibo e maschere. Giuliana Scaffidi, presidente dell’associazione “Gioiosa Nostra”, ha ideato un primo piatto che ricorda i colori de “Il Murgo”: tagliolini al nero di seppia e pomodorini di Pachino, accompagnati dall’omonimo vino. Una forma tipica di pane riporta i caratteri della maschera, per finire con una forma di formaggio, il cannolo con le medesime colorazioni della stessa: rosso, nero e bianco. Questo legame tra il carnevale e il cibo, è quasi un omaggio agli ancestrali significati della festa. Un ringraziamento agli spiriti che regolavano i cicli produttivi degli ingredienti base di queste pietanze, grano, olive per citarne alcuni. E un omaggio agli stessi defunti, che sottoforma di maschere indossate da bambini richiedono alimenti e ospitalità. La stessa ospitalità, che l’ideatrice di questo incrocio antropologico e il paese di Gioiosa Marea, cercano di donare a chi desidera vivere queste sensazioni. Sensazioni descritte bene dalle parole di Ignazio E.Buttitta, che nel suo saggio Continuità delle forme e mutamento dei sensi scrive: <<Una realtà cerimoniale le cui radici affondano nel più lontano passato, cessate le condizioni perché possa essere tradizione vivente si fa memoria della tradizione mettendosi al servizio della costruzione dell’identità comunitaria.
http://www.icaffeculturali.com/comunita/autori/luigipiocarmina/luigipiocarmina.htm