In questa via, ornata di orpelli antichi di gran pregio, hotrascorso, seppur in maniera altalenante, buona parte della mia infanzia. Arrivavo come un turbinio, saltellando con fare prettamente infantile, ( in fondo lo ero ) giravo “commu na strammula”, si suole dire quando si va in lungo e largo in maniera maldestra, senza aver cura di chi vi fosse nei pressi.
Avevo tutta l’ aria di una pippicalzelunghe. Ero molto conosciuta in quel borgo, che adoravo, ove trovavo le cose che mi porto dietro e che sono per me indispensabili, i modelli di vita all’usu anticu.In quella strada si era tutti parenti e chi non lo fosse di sangue lo diventava, tanto che tutti venivano chiamati zia Rosa, Zia Giovanna, Zia Angela, zù Jacupu e zia Teresa. La buona, l’amabile Zia Teresa. I registi del neorealismo, proiettano e raccontano bene bene quello che realmente accadeva nel borgo.
Rigorosamente vestite di nero, lo scialle fatto a mano sulle spalle con la frangia e lo ” spingolone” che chiudeva le due parti. Ieri,
giorno 7 gennaio, saluta senza fare rumore ed in punta di piedi, l’amabile zia teresa, discendenza Scaffidi, la più anziana residente
nel borgo e la più amata per la grande disponibilità, per l’accoglienza e per la fede, mai venuta meno, malgrado tristi eventi che l’hanno perseguitata.
La dolce zia Teresa pilastro di un intero quartiere, teneva uniti tutti e non vi era residente del borgo che non passasse da lei ad onorarla ed a darle un affettuoso saluto. Quando i tempi cambiarono e si trovò in un’altra epoca, quando tutte le antiche donne del borgo morirono, ella si trovò spesso ad affacciarsi al balcone per sentire l’odore del suo mare e salutare qualche passante.
…nella mia memoria vi sono tutte le donne dell’epoca, con i loro grembiuli e le loro sedie impagliate ( gli orpelli) sedevano fuori dalla porta, si riunivano, e con i loro arnesi iniziavano a lavorare ed a chiacchierare. Quando sostavo per più tempo apprendevo da loro.
Chi utilizzava l’ uncinetto, chi gli aghi…e solitamente i gruppi erano più d’uno, dislocati ognuno nel proprio ” condominio”, intenti a consumare i loro lavori. Io mi sedevo con tutti, ma…il mio star seduta non superava i 3 secondi; mi alzavo con la bramosia di una ribelle, prendevo il gomitolo di lana da una cesta qualsiasi ed iniziavo a correre per tutta la via, facendo girare il gomitolo, sbrogliando la matassa come si suole dire, sino trovare la punta.
Le donne, non più in giovane età, si alzavano in tutta fretta…nell’intento di acchiapparmi. Tentativo assai vano…ma assai assai. Lei, la zia Teresa, sempre con la dolcezza che la contraddistingueva, soleva ammonire chi si arrabbiava, con un dolce: è carusa! Non ricordo mai una parola fuori posto, una parola che potesse far nascere equivoci…lei aveva la sua fede e di questa si nutriva.
La ciurma familiare da lei formata era una grande famiglia davvero. E’ una grande famiglia. Tanti i nipoti che l’ adoravano. Ad onor del vero, i ragazzini della Marina, erano tutti nipoti suoi. Ella accoglieva senza mai utilizzare l’estremo atto della punizione e si addolciva con niente….che bei momenti vissuti in questa via, in questi luoghi oggi rifatti. Quante storie ho appreso, quante storie ho ascoltato.
I cunti degli anziani. Li ascoltavo d’ estate fuori e d’ inverno davanti la conca. Loro, le femmine di casa, con lo scialle di lana, intente a
cucinare, e di quella cucina conservo ancora l’ odore. Quante storie da raccontare…quanta gioia…e quanta commozione adesso, che i ricordi riaffiorano. …l”anziani di ‘na vota, i vicchiareddi di ‘na vota, con i loro racconti, sono stati un insegnamento, lei, a zà Teresa, è stata di più, è stata un esempio. ..
Giuliana Scaffidi
Quando un braccio di profondo mare allontanava Teresa dal nostro paese, io e le mie sorelle eravamo piccole e ignoravamo che lei avesse
asciugato il sudore e condiviso il dolore di mia madre fino alla sua morte per un parto mai avvenuto, perché le era morta tra le braccia.
Il mare agitato e noi, vestite da fatine, andavamo alla festa di un Carnevale che si beffava di noi. Ci ha raccontato tutto quando eravamo
grandi, tornata da Salina alla nostra marina. La sua casa diventava meta di consolazione e di generosa solidarietà.
Il mare era ancora davanti a lei che guardava l’isola e non aveva rimpianti: “i figli crescono e debbono studiare sulla terraferma”.
Poi, qui, la croce si abbatte su Teresa e la schianta: anni senza poter tirare su le spalle, la testa, trascinando un manto di lacrime
per il suo Angelo.
E in tutti questi anni, quando non ha con sé i suoi amati figli e nipoti, lei resta lì, alla finestra, a guardare il mare, dove qualche
totanara nelle sere d’estate si specchia, qualche barca all’alba va a “pettini”, qualche ricordo torna.
E’ giorno. Mi affaccio dal terrazzo e il mio paese dorme, mentre sole, cielo e mare si sposano sulle colline e sulla costa, poi si nascondono
creando lunghe ombre.
Oggi accompagneremo a ‘za Teresa verso l’ultima spiaggia dove ci sono persone che ha amato e l’hanno amata, come noi che con lei abbiamo perso definitivamente la marina di Gioiosa Marea.
Rosita Scaffidi