«Anticamente le fiabe non rappresentavano un genere rivolto all’infanzia ma a tutti. Italo Calvino si caratterizzò per una produzione allegorico-fiabesca. Gianni Rodari per una grammatica della fantasia.
Ne I Racconti di Nonno Ros, si naturalizzano storie intrise di motti lievi e acuti, umorismo e giochi di parole, lessicalmente raffinate, con la cui phonè Mimmo Mòllica gioca e si diverte; coniuga sapientemente l’assurdo alla realtà scientifica. Una narrativa che si avvale del ‘depeysement’ , lo spaesamento, esce cioè dall’ordinario. Mòllica compie il disvelamento di un mondo intriso di incongruenze, tra vivente e meccanico, tra morale e pulsione, amore e disamore, gentilezza di modi e trivialità, poiché l’incongruo è già insito nell’uomo stesso. Una percezione umoristica del mondo e dell’umano esistere, osservato con occhi bonari e compassionevoli, nella sua piena accezione di ‘con-patire’. Un’alternanza rapida di situazioni opposte: tragiche e comiche, ironiche, e sentimentali. Sublimi. Parole di umana compassione e verità, dalle quali sprigiona una comicità complessa, dal riso “filosofico”, dove si mescolano allegria e dolore.
Ne I Racconti di Nonno Ros, la ‘cosizzazione’ e l’antropomorfismo di rodariana memoria, servono a valorizzare le piccole cose, conferendo perfino agli oggetti, agli animali, alle piante, legittima dignità: “Dalle mollette prospicienti il giardino, penzolava come un gattone accucciato il pigiama grigio…”. Segno d’intelligente distacco sa un miope antropocentrismo, e tangibile di riconoscenza al loro silenzioso esistere.»
(Dalla sinossi de I Racconti di Nonno Ros)