Ieri nella splendida banchina del Porto “Capo d’Orlando Marina” si è svolto l’ottavo appuntamento della rassegna letteraria “Notturno d’autore”. L’attrice toscana Chiara Francini intervistata dalla consigliera Linda Liotta ha, con vivacità e coinvolgimento, entusiasmato il pubblico numero, felice di conoscerla. La rassegna, che si concluderà domenica 15 luglio in piazza Matteotti con il romanzo storico “L’uomo dagli occhi verdi” di Franco Valenti, presentato dal critico ed italianista prof. Mladen Machiedo, sta suscitando molto interesse tra i cittadini ed i turisti sempre più numerosi grazie alla nuova struttura portuale.
Lucia Franchina, promotrice del progetto letterario, ha moderato la presentazione del secondo romanzo di Chiara Francini “Mia madre non lo deve sapere”, dopo aver dato il microfono alla dott.ssa Stefania Ignazzitto, componente del comitato che cura il premio letterario “La Capannina, giunto alla settima.
Ha portato i saluti istituzionali l’assessore alla cultura Cristian Gierotto, mentre Manuela Carlo, responsabile della Mondadori Point paladina ha introdotto l’incontro.
Di seguito alcune riflessioni della Liotta sulla storia di Chiara, la protagonista.
“Dille sempre la verità”!
Come un’eredità, è la frase che accompagna il gesto di una giovane madre che si separa volontariamente dalla sua piccola appena nata, con la convinzione che senza di lei, potrà avere una vita migliore di quella che sarebbe stata in grado di offrirle.
E questo gesto di abbandono e separazione, apparentemente simbolo di egoismo, è il primo gesto d’amore che riceve la piccola Chiara: attorno a lei c’è sempre amore, sin dall’inizio del suo viaggio nel mondo.
“Dille sempre la verità”!
Perchè non c’è una sola verità, ed i suoi due papà, Giancarlo e Angelo, ai quali Chiara è stata affidata, insieme ai tanti amici, parenti e vicini di casa che la sosterranno nei passi che di giorno in giorno farà nel mondo, ognuno di loro, appunto, le dirà sempre una verità.
Tante verità che arricchiscono Chiara e che non sarebbero state smentite dalla madre, se un giorno fosse tornata per raccontarle la “sua” verità.
“Dille sempre la verità” è un inno alla libertà, un imperativo con cui indirizzare gli insegnamenti che Giancarlo e Angelo le avrebbero date. Non c’è libertà nella menzogna o nella confusione. Eleonora, la mamma di Chiara, desidera per la figlia una vita nella trasparenza, nella serenità, nella gioia, nell’assenza di qualunque incubo o paura che le impedirebbero di crescere armoniosamente, divenendo la donna matura che, in realtà, è divenuta: Chiara di nome e di fatto! Il dono più grande che mamma Eleonora ha ritenuto di poterle fare, è il dono della libertà; libertà dai pregiudizi e dai luoghi comuni, libertà sinonimo di responsabilità e consapevolezza.
Il tuo romanzo è ricco di riflessioni, aneddoti familiari, frasi consolatorie che sin da piccoli si fissano nella memoria e ce le portiamo appresso come un bagaglio; consolano tutte le volte che tornano alla mente nei momenti difficili.
Chiara è una donna emancipata che non sente la necessità di mettersi in competizione con le amiche, nè con la madre; anche se alla madre, ad un certo punto rinfaccia qualcosa e lo fa con rabbia. Dopo averlo fatto, però, non ci tornerà più sopra perchè è tale la felicità di averla ritrovata che ogni cosa riconquista il proprio ruolo nel tempo e nello spazio presente.
Le donne tra loro, tra sorelle, tra amiche, tra colleghe, sono capaci di tessere una splendida complicità e nutrire un infinito affetto, forse più degli uomini. Il vero problema nasce quando scattano le rivalità.
Nel tuo romanzo prevale l’aspetto migliore dei rapporti tra familiari o tra amici: “i due migliori amici”. Credi veramente che le donne avranno l’energia e la capacità di migliorare la qualità della vita in una società piena di contraddizioni e solitudini; di cattivi esempi e crisi di valori?
Da ogni pagine trapela la tua formazione letteraria, la passione per il corretto uso dei termini che sembrano colorare e profumare le immagini che descrivi. Mi ha molto commosso la delicatezza con cui ha trattato l’olocausto vissuto nel Ghetto di Roma. Seduti sulla panchina davanti al “portonaccio”: vita e morte si mescolano, quasi a voler dare sempre una speranza che in futuro non vi saranno mai più discriminazioni razziali o sessiste.
Quanta strada si dovrà ancora fare per il rispetto sostanziale dei diritti umani?
Credi che l’ironia e la comicità potrebbero salvarci da una disumanità sempre più latente?