Gioiosa è un’isola, l’attesa è il suo destino. “Nulla rivela il destino del Mediterraneo meglio delle sue isole. La maggior parte delle isole vivono nell’attesa di un avvenimento (che talvolta è già accaduto). L’isola manca di mezzi, la terraferma di comprensione. Chi dà il nome alle isole, le isole stesse o quelli che decidono della loro sorte?”
Gioiosa Marea (Me), 16/03/2016 – Gioiosa Marea nuovamente isolata. Le frane che si attendevano sono arrivate, puntali come la morte, ineluttabili come il destino, immancabili come i compleanni, il Natale, la Pasqua e il Carnevale. La statale 113 è interrotta sia sul lato Palermo che sul lato Messina: in località Calanovella-Falconaro lato Brolo, in località Skino-Calavà lato Patti. E se lato Gliaca dovrebbe venire riaperta nel tardo pomeriggio di oggi (metà carreggiata), lato Patti non si hanno notizie ufficiali dall’Anas, ma in giro si fanno ipotesi, sia sulla durata dell’interruzione che sulla prospettiva che venga riproposta la strada alternativa tenuta a battesimo dalla frana a Capo Skino del 2008. Sarebbe il caso di identificare con un nome proprio ognuna delle frane, come in America con gli uragani. L’odierna frana di Capo Skino fa seguito di un solo giorno (e una notte) a quella occorsa sulla SS 113 in prossimità di San Giorgio. Strada alternativa che al momento è interessata da frane e smottamenti, e che, più che strada, è una ‘percorribile’ di pura emergenza. Rimane – invece – un’araba fenice quella che sarebbe (stata) la soluzione, pur sempre tardiva (di una ventina d’anni almeno): lo svincolo autostradale, quello che Gioiosa Marea non volle e che è l’unica strada alternativa. Quella si. Tra non molto i commercianti gioiosani dovranno tornare a fare i conti con l’isolamento che ha già ridotto il loro commercio ad una clientela oltremodo ‘paesana'; gli studenti dovranno scalare quotidianamente le montagne russe, come dovranno fare impiegati e malati. Compresi i dializzati e i lungodegenti, non ospedalizzati. Il resto è letteratura appresa e ripassata nei decenni, in più di 50 anni di frane a Gioiosa Marea.
Chi dà il nome alle isole, le isole stesse o quelli che decidono della loro sorte?
Gioiosa Marea è un’isola, l’attesa è il suo destino: che arrivino la posta, i farmaci, la corriera, tra asilo ed esilio. Vorrei dirlo con parole non mie, farlo descrivere a Predrag Matvejević, scrittore e accademico croato, nato a Mostar, nell’allora regno di Jugoslavia e oggi repubblica indipendente di Bosnia ed Erzegovina, docente alla Sapienza a Roma: “Nulla rivela il destino del Mediterraneo meglio delle sue isole. Esse ci sono generalmente più vicine d’estate. D’inverno molti di noi ne prendono le distanze. (…) La nozione stessa di isola varia da un caso all’altro. L’isola è, da un lato, luogo di pace o di raccoglimento, d’amore, di felicità e di beatitudine; dall’altro, è invece un luogo d’esilio o di reclusione, di castigo, espiazione e perfino di penitenza. (…). Ho già notato che d’estate dimentichiamo più facilmente le disavventure insulari. D’inverno pochi ricordano l’esistenza stessa delle isole. (…) La maggior parte delle isole, grandi o piccole, vivono nell’attesa di un avvenimento (che talvolta è già accaduto). Lo si attende sui moli, foss’anche l’arrivo di un’imbarcazione: una sorta di spettacolo, l’illusione di un’avventura. Gli abitanti delle isole sono meno spensierati della gente della costa: isolati dal mare, sono più rivolti verso se stessi. Su un’isola si può sbarcare per caso o ci si può installare per necessità. I naufragi durano ben più delle tempeste che li hanno provocati, alcune avarie sembrano irreparabili. (…) L’isola manca di mezzi, la terraferma di comprensione. Anche gli «altri» vivono in attesa, gli isolani ancora di più. Sono soltanto più delusi dal seguito. (…) Non dobbiamo tuttavia dimenticare quanto è stato detto, qui come altrove, sulla bellezza dell’isola e sulle sue attrattive.
Chi dà il nome alle isole, le isole stesse o il continente vicino? Quelli che vi abitano o quelli che decidono della loro sorte? A queste domande la filologia applicata non dà risposte soddisfacenti”.
Col permesso della filologia applicata direi che la colpa è nostra.
Di noi tutti!
Mimmo Molica Colella