Dalla parte della… VERITA’ , Luciano Mirone ospite dell’incontro organizzato dal “Club degli amici di Salvatore Quasimodo”

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Untitled-1“Non è vero che la verità non esiste o è soggettiva. Esiste ed è oggettiva. E’ quella che -come un reperto antico avvolto dalla notte dei tempi- sta sottoterra. Perché quel reperto veda la luce bisogna rimuovere la terra. Il problema è che a volte, invece della terra, si cerca di rimuovere il reperto. Quando succede, vuol dire che la verità non si vuole cercare. Già questo è un fatto, dunque una verità. Che ha nomi e cognomi. Ecco perché un giornalista ha il dovere-qualora dovesse ravvisare contraddizioni, discrepanze o omissioni- di dire ciò che vede, senza reticenze, senza timori, senza indugi, rompendo i luoghi comuni, le opacità, le ipocrisie. Non è un lavoro improbo. E’ un lavoro che ti obbliga ad essere libero”. (dal libro Un “suicidio” di mafia La strana morte di Attilio Manca)

Luciano Mirone, ex allievo del Liceo pattese, diventato giornalista d’assalto, lotta da sempre per far trionfare la verità.
Sabato 9 maggio il giornalista è stato ospite dell’incontro organizzato dal “Club degli amici di Salvatore Quasimodo” e tenutosi presso la sala consiliare del comune di Patti. L’iniziativa si inserisce a pieno titolo nel percorso avviato dal Club sul vero giornalismo perché, come ha ricordato Dara Ferlazzo, vicepresidente del Club, “le opinioni possono cambiare il mondo, ma si formano se c’è una corretta informazione”. Il tema trattato riguarda la vicenda di Attilio Manca, il giovane urologo barcellonese morto ufficialmente per overdose. La famiglia da undici anni lotta perché trionfi la verità. Quella verità che il giovane Mirone ha raccontato con passione nel libro Un “suicidio” di mafia, un’inchiesta sulla morte del primo urologo italiano a operare il cancro alla prostata con il sistema laparoscopico.
Relatori sono stati la signora Angela Manca, il figlio Gianluca, l’avvocato Enzo Guarnera e Sofia Capizzi.
La signora Manca ha coinvolto il pubblico narrando la storia della sua famiglia prima e dopo la morte del figlio con una dignità encomiabile (scrive Mirone: “la madre dice che sente la perenne sensazione che qualcuno le abbia squarciato il ventre e le abbia rubato il bambino”).
Gianluca Manca, fratello di Attilio, ha ripercorso con grande attenzione le vicissitudini giudiziarie del “processo” non trascurando alcun particolare importante e rimarcando la latitanza delle Istituzioni. Enzo Guarnera, avvocato impegnato in inchieste di mafia e difensore di decine di pentiti, ha illustrato in maniera certosina i rapporti tra mafia e massoneria. Sofia Capizzi, Presidente dell’Associazione antiracket “Liberi Tutti” di Barcellona P.G., ha parlato della realtà barcellonese e dell’atteggiamento omertoso nei confronti di Attilio (molti i cortei organizzati ma pochi i partecipanti barcellonesi, molti quelli venuti da fuori.)
Luciano Mirone ha esordito dicendo: “il giornalista non si deve mai innamorare di una tesi, cosa che invece non hanno fatto i magistrati. Bisogna sempre scegliere la verità” e questo significa, ovviamente, non arrendersi mai, soprattutto di fronte all’evidenza. Il dott. Attilio Manca, mancino puro, è stato trovato morto con due fori nel braccio sinistro, riverso in una pozza di sangue con lividi diffusi in tutto il corpo. Il non scegliere la verità ha portato a insabbiare tutti gli elementi che invece portano a ipotesi più plausibili.
Luciano Mirone ha tentato di dare un contributo alla verità, senza ipotesi precostituite ma facendo parlare i fatti. Il suo libro è un inno alla verità e, nello stesso tempo, un appello appassionato perché la verità civile venga riconosciuta non solo per il caso Manca ma anche per tutti i casi in attesa di giustizia.
A conclusione dell’incontro il giornalista ha rivolto un omaggio alla città di Patti leggendo una pagina di un libro inedito. Il brano è struggente perché il giornalista ricorda il momento in cui, nel settembre 1976, dovette lasciare la sua Sicilia per oltrepassare lo Stretto. La sua “sicilitudine” gli faceva apparire lontano anche un territorio vicino come quello della Calabria. E allora lo scrittore “contempla” un’esplosione di luce che inonda i templi, che illumina i giardini, le vaste plaghe, il cuore di molti siciliani, “ma forse”, scrive Luciano, “ero troppo ragazzo per vedere le tenebre”.

Anna Milici

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