Il mio amico Ignazio
Siamo usciti per l’ultima volta poco più di un mese fa. Indossavi un bellissimo maglione colorato, che non era il tuo. Una dozzina di giorni prima eravamo andati a mangiare fuori, eravamo in tre, in un posto sul mare, non lontano dalla tua Gioiosa. Quella sera indossavi ancora un maglione tuo. D’altronde, innegabile, il tuo corpo parlava per te già da qualche mese.
Secondo un copione prevedibile, immutato da oltre dieci anni, quando uscivamo la discussione era sul dove andare. Almeno una volta su tre andavamo fuori Gioiosa, spesso senza meta. Il problema nel restare a mangiare a Gioiosa non era nel fatto che la gente ti si avvicinava, difatti non ricordo che rarissime volte qualcuno chiederti di fatti amministrativi; il problema era che qualcuno voleva sempre pagare per te. Così negli anni abbiamo cambiato zone, ristoranti, bar; a volte però siamo anche stati monotoni (tipo quando per circa un anno diventammo habitué da Ciccio, a Brolo). Ma quel pomeriggio di metà ottobre non stavamo andando in un bar o in un ristorante.
A dire il vero quel pomeriggio anche la discussione fu diversa. Chiesi se volevi andare al mare o a Gioiosa Guardia. E sorridesti. Era quel sorrisino ironico che chi ti conosceva sapeva avere un chiaro significato. “La settimana prossima comunque, quando torni, andiamo a Gioiosa Guardia – dicesti – perché voglio controllare dei lavori”. Ma deciso sul mare, bisognava anche decidere di quale mare visitare. Proposi Calavà, Gioiosa centro e Calanovella. Calavà la escludesti perché volevi vedere Gioiosa; Gioiosa centro la escludesti perché non volevi essere visto o che magari qualcuno ti chiedesse come stavi. Restò Calanovella, dove non c’era gente, e da dove potevi vedere la tua città.
Restammo un’ora e mezza. Il mare e le isole di fronte. Gioiosa alla destra. Situazione ideale per bersi una birra, un bicchiere di Bianco di Nera (vino che avevamo scoperto da qualche anno); solo che di vino e di birre insieme non ne bevevamo più da mesi. Accendesti una sigaretta e seduto la fumasti guardando i profili di Gioiosa. “Vedi casa tua?”, chiesi. “Sì, certo”. E mi spiegasti esattamente come individuarla. Poi mi dicesti di un tuo conoscente che aveva un tumore e una casa in una delle isole e del come periodicamente se ne andava in quella casa. Parlammo del nostro ultimo viaggio programmato in Olanda e del come a causa della pandemia era saltato. Parlammo del come i tuoi assessori si stavano impegnando per gestire il paese. E di altro ancora. Facemmo anche un giro di telefonate.
Eri come sempre impeccabile, nei modi e soprattutto nel vestire. Ineccepibile anche nel come ti sedesti, sia pur nel dolore, per qualche minuto, sul muretto. E dire che eravamo così vicini a quella scaletta in muratura che dalla strada sul lungomare di Calanovella scende fino al mare. Mossi la testa per indicartela, ma dicesti che non te la sentivi perché già stanco. Camminammo così ancora un po’, con il suono delle onde e l’odore del mare. A volte senza parlare anche per dei minuti. Poi ti riportai a casa, e mi lasciasti con un buffetto sulla guancia e un sorriso. È l’ultima immagine che ho di te. Poi continuammo a sentirci per messaggi e telefonate. Sempre più rade, fino all’ultimo messaggio, una settimana fa.
Poi tutto è stato velocissimo. Pe me, come per tutto il paese. Tu così calmo e rilassato anche nelle situazioni eccezionali ti sei trovato improvvisamente a correre e con te attonito a correre si è ritrovato come se in un vortice tutto il paese, assolutamente impreparato. Del paese eri d’altronde il Sindaco. E così del tuo privato, di cui eri sempre stato molto attento, improvvisamente non potevi controllare quel lato pubblico che il tuo status imponeva. Ho anche immaginato cosa avresti potuto pensare di quella situazione. Forse avresti riso. Chissà.
Più di un amico mi ha stamattina detto del tuo volto nella bara, esposto nella chiesa di Gesù Buon Pastore. Chi me ne ha detto ti conosce bene. Mi ha decritto quel tuo sorriso, ironico, pittato sopra il tuo viso. Mi immagino sarà stato lo stesso di quando ti chiesi: “mare o Gioiosa Guardia?”. Mi immagino anche lo stesso di quando avrai visto tutta quella gente attorno a te; di quando avrai sentito della stampa parlare di te; e sai cosa, mi immagino quel sorriso anche quando avrai visto tutti quei fiori.
Devo confessarti che non sono riuscito a telefonare personalmente al fioraio per ordinare una corona perché mi immaginavo proprio quel viso, così ho chiesto ad un mio familiare di farlo per me. Avrei riso facendo l’ordinazione sapendo che tu avresti riso di me perché ti stavo mandando dei fiori. Scusa, ma te li ho mandati lo stesso, e comunque per come dicevi da mesi in questo periodo bisogna aiutare l’economia locale …
Ah, un’ultima cosa, un nostro comune amico mi ha poco fa mandato la foto della macchina che trasporta i tuoi resti mortali ferma di fronte al Palazzo Municipale. Non ho da anni Facebook, ma mi dicono che mezzo paese ha oggi messo la tua foto sul profilo. Vedi, tu che non amavi la pubblicità, che non volevi mai essere visibile, ora non puoi farne a meno.
Come ben sai, la settimana dopo non sono riuscito a tornare a trovarti a causa della pandemia. Che dirti, a Gioiosa Guardia ci andrò prima possibile, te lo avevo promesso.
PS Dell’imperativo di non disperdere la tua eredità politica dirò tra qualche giorno. Ora mi premeva dire del mio amico.
Marcello Mollica