I militari del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, alle prime luci dell’alba, in questa provincia ed in quelle di Catania, Palermo, Bari e Chieti, nonché nella Repubblica Federale di Germania attraverso gli ordinari canali di cooperazione internazionale, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Messina su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia ed Antiterrorismo, nei confronti di 12 soggetti (10 dei quali sono stati ristretti in carcere e 2 sottoposti agli arresti domiciliari), appartenenti ad una consorteria criminale, egemone nella fascia ionica di questa provincia e collegata alla famiglia mafiosa catanese “Santapaola-Ercolano”, ritenuti responsabili – a vario titolo – di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, danneggiamento seguito da incendio e traffico di sostanze stupefacenti.
Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività d’indagine, sviluppata sin dal 2013 dalla Compagnia Carabinieri di Taormina, i cui esiti hanno permesso di comprovare l’operatività di un’organizzazione criminale – denominata “Clan Brunetto” – che sottoponeva ad estorsione i titolari di aziende agricole ed i proprietari terrieri della zona, per ottenere il controllo o la gestione delle locali realtà imprenditoriali nel settore agro-pastorale.
Le investigazioni, inoltre, hanno consentito di documentare come il sodalizio si approvvigionasse di sostanze stupefacenti mediante la collaborazione di alcuni soggetti, legati alle famiglie mafiose catanesi, incaricati di rifornire periodicamente la consorteria di ingenti quantitativi di marjuana, che venivano poi commercializzati presso le principali “piazze di spaccio” dell’hinterland taorminese.
Dall’inchiesta è, inoltre, emerso come alcuni degli indagati avessero acquisito la disponibilità di un consistente quantitativo di armi da fuoco, necessarie per affermare il controllo criminale nell’area di riferimento.
Tra i destinatari della misura cautelare figurano anche due braccianti agricoli recentemente trasferitisi in Germania e nei cui confronti è stato emesso un Mandato di Arresto Europeo cui è stata data esecuzione con la collaborazione delle Autorità di quel Paese, attivate attraverso l’ufficio Italiano di cooperazione internazionale che funge da collegamento con le forze di polizia dei paesi europei e noto come S.I.re.N.E. acronimo della sua denominazione inglese “Supplementary Information Request at National Entry.
Le indagini dei carabinieri venivano avviate nel 2013 allorquando un dirigente sindacale della U.I.L., socio di un cooperativa agricola della Valle dell’Alcantara, denunciava ai militari di Taormina che in piena notte, ignoti malfattori, avevano dato alle fiamme due sue autovetture parcheggiate nei pressi della propria abitazione di residenza. Il sindacalista, rendendosi collaborativo, riferiva in sede di denuncia di essere stato vittima di un vile atto di natura intimidatoria a carattere estorsivo da parte di sedicenti malviventi del posto che da diverso tempo avanzavano al suo indirizzo richieste di soldi a titolo del cosiddetto “pizzo” e segnalava come tali episodi si fossero verificati anche in danno di altre aziende agricole della zona.
Dalla denuncia dell’imprenditore i militari riuscivano a raccogliere elementi in ordine ad una serie di atti intimidatori nei confronti di altri imprenditori residenti nella Valle dell’Alcantara alcuni dei quali denunciati ed altri no.
I riscontri dei Carabinieri permettevano di appurare come gli episodi di danneggiamento posti in essere ai danni di tanti imprenditori della zona fossero riconducibili ad un unico disegno criminoso portato avanti da sconosciuti che stavano colpendo, in quel periodo, commercianti ed imprenditori di Malvagna, Mojo alcantara e Roccella Valdemone.
L’indagine denominata convenzionalmente “Fiori di Pesco” ha consentito di accertare come il Clan fosse diretto da Paolo BRUNETTO, deceduto durante l’indagine presso l’ospedale di Biancavilla nel 2013. Benchè sofferente e gravemente ammalato il Brunetto si avvaleva di propri referenti di zona che avevano alle dipendenze gli appartenenti alla Cosca per commettere i vari reati ricostruiti. Paolo Brunetto, capo clan, era colui che cercava sempre di trovare soluzioni per “difendere” imprenditori che pagavano la loro “protezione” e che, fungeva da “pacere” in occasione di dispute tra gli affiliati. In una circostanza, ad esempio, Pino Vincenzo tentava di convincere un proprio affiliato operativo in Malvagna a riconsegnare dei mezzi asportati ad un imprenditore che godeva della protezione del boss Lo Monaco Vincenzo, operante in zona diversa da quella di Malvagna La questione anche nella circostanza venne risolta dal defunto Paolo Brunetto che sovente chiamava al suo cospetto i capi-zona in caso di diverbi.
Durante le fasi finali dell’ attività fondamentale è risultata essere un’irruzione dei militari durante un summit mafioso. Nella circostanza gli investigatori hanno potuto identificare correttamente tutti gli appartenenti alla cosca operativa nella Valle dell’Alcantara ed hanno anche proceduto all’arresto in flagranza di reato del Lo Monaco in quanto, per partecipare a quel vertice, aveva pensato bene di violare la Sorveglianza Speciale a cui era sottoposto.
Pino Vincenzo classe’56 di Malvagna insieme a Caminiti Carmelo classe ’73 di Francavilla di Sicilia, Monforte Antonio classe ’67 nativo di Castiglione di Sicilia ma residente a Francavilla di Sicilia, Salmeri Angelo classe ’89 di Mojo Alcantara, , Monforte Antonio classe 67, dovranno rispondere di associazione di tipo mafioso poiché, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, mettevano in atto una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio come le estorsioni nonché per acquisire in modo diretto la gestione ed il controllo di attività economiche e per conseguire profitti e vantaggi ingiusti.
Le indagini hanno permesso di acclarare che l’associazione era diretta dal Pino Vincenzo sul territorio di Malvagna, da Caminiti Carmelo e da Monforte Antonio sui territori di Francavilla di Sicilia e zone limitrofe.
Per imporre il “pizzo” agli imprenditori agricoli della zona l’associazione mafiosa operava con un metodo ormai consolidato, dapprima procedeva al furto dei mezzi agricoli indispensabili all’esercizio dell’attività e successivamente richiedeva ingenti somme di somme di denaro per restituire i mezzi e consentire di riprendere l’attività lavorativa (cd. cavallo di ritorno). Capitava così che ad un imprenditore di Fondachelli Fantina venissero rubati i mezzi agricoli ad un altro di Roccella Valdemone tre trattori.
Altre volte le intimidazioni consistevano nell’ appiccare il fuoco al fondo degli agricoltori distruggendolo, come accaduto a Mojo Alcantara. Talvolta il messaggio intimidatorio poteva arrivare anche attraverso il semplice furto del raccolto di pesche. Oppure poteva bastare la consapevolezza della vittima della provenienza della richiesta come nella vicenda della cessione di un terreno a Castiglione di Sicilia in favore di uno degli associati, Monforte Antonio.
Oltre le estorsioni anche il traffico di droga era tra gli affari del clan. Infatti Caminiti Carmelo, Salmeri Angelo, Di Bella Alfio classe ’64 Catanese, ed altri indagati devono rispondere del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti per essersi stabilmente associati tra loro allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 73 dpr 309/90 costituendo un associazione dedita all’acquisto, alla detenzione e alla cessione di sostanza stupefacente del tipo Marijuana. Caminiti Carmelo con il ruolo di promotore ed organizzatore dell’associazione impartiva le direttive coordinando il gruppo per lo spaccio degli stupefacenti. Salmeri Angelo, Scuderi Salvatore collaborando con Di Bella, fungeva da intermediario e fornitore nella fase della cessione di sostanza stupefacente.
Il Clan era ben organizzato anche nei reati contro il patrimonio. E’ stato documentato ad esempio che due degli indagati, con estrema semplicità, si procuravano un veicolo rubato sul mercato illegale catanese, una Suzuki bianca, venendo poi ripresi dalle telecamere di videosorveglianza di un distributore di benzina posto lungo l’asse autostradale che da Catania porta a Mojo Alcantara. Da quel veicolo sarebbe poi stata smontata l’intera carrozzeria per rimontarla su un’analoga vettura riciclando così il veicolo rubato.
Le operazioni di intercettazione, telefonica ed ambientale, si sono rivelate fondamentali ed hanno permesso di ricostruire anche le dinamiche interne al sodalizio. Ad esempio, in una delle tante intercettazioni, Caminiti Carmelo, rimproverava un altro degli affiliati alla cosca, persona di fiducia e alle dipendenze del Pino Vincenzo, reggente del territorio di Malvagna e Mojo Alcantara redarguendolo e promettendo di “rompergli le corna” qualora si fosse recato nuovamente nel territorio di competenza del Caminiti per commettere reati senza il suo permesso.
In un’intercettazione ambientale, invece, il Pino Vincenzo, conversando al termine di summit mafioso in macchina con l’adepto Monforte Antonio, si lamentava, invece, dell’irruzione dei Carabinieri che avevano interrotto quel vertice mafioso attribuendo la responsabilità di ciò ai giovani adepti poiché ritenuti poco affidabili. Nell’intercettazione ambientale infatti il Pino prometteva di ammazzarli con le proprie mani.
Determinante nell’operazione è risultato essere il coraggio, la determinazione e la collaborazione dimostrata dagli imprenditori che in piena sinergia con la Magistratura di Messina e con l’Arma dei Carabinieri hanno permesso di assicurare alla giustizia 12 pericolosi malviventi.
La loro opera ha permesso agli inquirenti, di respingere il fenomeno criminale che aveva trovato spazio nella Valle dell’Alcantara e comuni limitrofi. Si auspica che altri imprenditori possano con celerità rivolgersi alla magistratura inquirente e all’Arma dei Carabinieri in modo da poter mettere fine al fenomeno, purtroppo ancora presente, delle estorsioni sul territorio. Gli stessi imprenditori denunciando hanno permesso il brillante risultato, frutto di un certosino lavoro di squadra, e che ha saputo, ridare la libertà a loro stessi che da tempo si vedevano costretti a pagare con i loro sacrifici “il pizzo” al sol fine di non avere minacce e ritorsioni ulteriori.