Accogliamo il gentile invito del figlio del Prof. Giuseppe Costa , Emanuele.
Siamo onorati di pubblicare un breve profilo di Salvatore Zampino scritto dal Prof. Costa.
Il “Murguero” Salvatore Zampino: l’ uomo dei due mondi.
Salvatore Zampino, inteso benevolmente dai suoi concittadini gioiosani il comandante Turi, nacque a Gioiosa Marea il 20 maggio del 1898 da Rosario Zampino, originario di Galbato, e da Gaetana Ricciardi Barchitto, originaria della Marina di Gioiosa Marea. La madre, donna di integerrimi costumi, svolse, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, a Gioiosa Marea e dintorni, un’intensa attività commerciale e, per la sua intraprendenza e per il fiuto negli affari e nel commercio, da tutti era tenuta in gran conto; senz’altro, precorritrice della parità di genere tra uomini e donne, si è distinta nell’organizzare ed amministrare qualsiasi attività commerciale, dando lavoro a molti degli abitanti del paese di Gioiosa Marea e del piccolo borgo di San Giorgio.
Salvatore Zampino (secondo da destra) con alcuni dei suoi familiari.
Salvatore, sesto genito di otto fratelli, crebbe nella gaudente cittadina di Gioiosa Marea, ma, divenuto adulto, nel lontano 1926 decise di emigrare in Argentina in cerca di migliori fortune: erano gli anni in cui in Italia imperava la dittatura fascista con a capo il Duce Benito Mussolini, anni in cui l’Italia e anche l’Europa erano travagliate da una asfissiante crisi economica. Salvatore Zampino, quindi, imbarcatosi su di una nave nel porto di Napoli, giunse, dopo un lunghissimo viaggio, in Argentina e scelse come dimora la città di La Plata, dove ebbe la fortuna di trovare un lavoro, ben remunerato, in una banca.
La Plata, 1926 – Salvatore Zampino con la divisa della banca CBSH.
Nel periodo in cui Salvatore arrivò nella città di La Plata anche per il popolo argentino la vita non era facile: sia per tradizione, sia per alleviare le difficoltà giornaliere, per carnevale, i cittadini si vestivano in maschera con abbigliamenti pittoreschi e stravaganti e si riversavano per le strade di La Plata, danzando e cantando al suono di tamburi e di altri strumenti di musicisti improvvisati.
Salvatore Zampino a La Plata nell’anno 1926.
In Argentina, infatti, per carnevale le masse popolari rievocavano la Murga Porteña, la cui componente musicale deriva storicamente dalla mescolanza di culture diverse: la bandistica popolare europea e i ritmi prodotti dagli ex schiavi negri chiamati Candombe, che nel linguaggio Bantù significa proprio dei neri. I ritmi Candombe non furono solo danze e musiche, ma, piuttosto, l’espressione di una visione di più ampio respiro del mondo, che diede agli schiavi africani la forza di non accettare la schiavitù e di non rinunciare alla loro libertà, dignità e senso di giustizia. Le prime manifestazioni della Murga sono legate, pertanto, alla presenza degli schiavi negri, mentre l’aristocrazia ne prenderà parte solo più tardi, organizzando il primo carnevale ufficiale nel 1850. All’inizio del ventesimo secolo, gli immigrati Italiani e Spagnoli rianimarono il carnevale uscendo per le strade con i carri del latte decorati come se fossero delle carrozze. Il termine Murga si incominciò a diffondere in contrapposizione a quello di Comparsa, anch’essa manifestazione carnevalesca, caratterizzata, invece, da una comprensibile competenza nell’ambito musicale: negli anni Trenta del Novecento, quando le classi sociali più agiate affollavano i teatri di La Plata, il carnevale era in decadenza e la Murga era arte di popolo, distinguendosi per il suo carattere popolare dalla Comparsa: la storia della Murga, quindi, è legata a un complesso e composito processo di sviluppo e di integrazione del variegato tessuto sociale porteño, processo che coinvolse tutti gli immigrati del vecchio continente europeo e le razze di colore. Salvatore, che aveva nel sangue l’allegria, non esitò a partecipare attivamente alla sentita e spensierata festa popolare qual era la Murga.
La Plata, 13 luglio 1926 – Salvatore chiede la benedizione ai genitori.
Tuttavia, dopo una permanenza di alcuni anni nella ridente e laboriosa città di La Plata, per la nostalgia della famiglia ed anche del suo paese natio, Salvatore decise, nel millenovecento ventinove, di fare ritorno a Gioiosa Marea, dove, con i risparmi che aveva accumulato, pensò di comprare un paio di piccole barche, i “caicchi” ed una barca più grande per potere trasportare i diversi “mestieri” al fine di esercitare l’attività della pesca. Al tempo delle alici, la piccola flotta era composta da tre imbarcazioni di medie dimensioni, su ognuna delle quali c’erano due marinai, mentre a prua era sistemata una lampara; infine una barca più grande serviva a trasportare la rete, che in gergo marinaresco era chiamata “u cinciolo” e veniva adoperata per pescare i pesci che erano stati attirati in massa dall’intensa luce della lampara. Le quattro imbarcazioni, guidate dal comandante Turi, sull’imbrunire, dalla spiaggia di Gioiosa prendevano il largo dirigendosi verso Capo Calavà o verso Calanovella, in prossimità della “Torre di Ciauli”, o verso il golfo di Patti, in prossimità del promontorio roccioso di Tindari, aree tutte dove era possibile pescare abbondantemente. Il comandante Turi, con la sua ciurma, all’alba, dopo una notte di faticoso lavoro, faceva ritorno con un prezioso ed abbondante carico di alici che in parte venivano immesse nel mercato gioiosano, in parte venivano messe sotto sale, inscatolate e, successivamente, spedite nei più importanti centri commerciali della Sicilia, quale il famoso mercato della “Vucciria” di Palermo, e in altri mercati dell’Italia settentrionale e dell’Europa.
Quando terminava la stagione della pesca delle alici, il comandante Turi esercitava altri tipi di pesca: la pesca dei gamberi con le ‘’nasse” e la pesca di altre qualità di pesci con i ‘’rizzelli”,‘’u consu” la ‘’sciabica’’, ‘’u ragno’’, ‘’u sciabacuni’’.
Periodicamente, inoltre, il comandante Turi con la barca più grande, essendo lui al timone, con l’aiuto di quattro abili e instancabili rematori, i fratelli Saro, Turiddu, Carlo Santamaria ed Andrea Cacciatore, salpava da Gioiosa verso i lidi delle isole Eolie e, precisamente, verso l’isola di Vulcano, incantevole per la sua intensa luminosità, per la sobria purezza dei contorni, per la grazia dell’insieme, per il naturale degradare dei toni, per la singolarità e soavità dell’ azzurro cielo, per il verde intenso e cupo del mare, per la nera terra di origine vulcanica, per i lunghi filari delle viti e infine per i molteplici alberi di gelso dalle foglie di colore verde intenso. Chi ha avuto modo di recarsi in questa meravigliosa isola, anche una sola volta, non dimenticherà mai, per tutta la vita, un tale affascinante paesaggio di rara bellezza, unico al mondo.
Il comandante Turi approdava, dopo circa quattro ore di viaggio assai faticoso, nella baia della “Lanterna” e, precisamente, in località “U Ceusu” (il Gelso), dove lo attendevano festanti i pochi abitanti del luogo: essi non tardavano ad accorrere sulla spiaggia per dare aiuto e tirare a secco la pesante imbarcazione e per dare il benvenuto al “cumpari Sarbaturi” e al suo equipaggio. Di giorno Turi, con i suoi uomini, andava in giro per l’isola per acquistare vino, malvasia, passolina, capperi, fichi secchi, formaggi, lana, copri letti lavorati all’uncinetto e stoffe di lino finemente ricamate dalle donne isolane; di notte, invece, “cumpari Sarbaturi” con il suo violino e i nipoti, Turiddu con la fisarmonica e Carlo e Saro con la chitarra e la mandola, andavano in giro per l’isola a fare le serenate. Nelle notti serene, rischiarate dallo splendido chiaro di luna che si rifletteva sul crinale dell’isola e sull’azzurro, cupo e incontaminato, del mare, le melodiose note del magico violino di Turi, accompagnate dalle armoniose musiche della fisarmonica del nipote Turiddu e delle vibranti corde della chitarra e della mandola dei nipoti Carlo e Saro, rompendo il misterioso e suggestivo silenzio della notte, svegliavano le famiglie, le quali non tardavano ad alzarsi ed affacciarsi alle finestre per ascoltare la musica armoniosa e ringraziare i componenti del magico quartetto offrendo loro vino genuino e dolci tipici preparati dalle esperte massaie isolane. Dopo un paio di giorni di permanenza nell’isola, tempo permettendo, il comandante con la sua ciurma, stivate le mercanzie, prendeva il largo per ritornare a Gioiosa: la traversata a volte era rischiosa, specie quando si alzava improvvisamente il vento di scirocco, a volte molto lunga per il persistere del vento contrario, a volte, invece, piacevole quando spirava il vento di maestrale che permetteva di spiegare le vele. Giunti a Gioiosa, le mercanzie che Salvatore portava dalle Eolie andavano a ruba per la loro bontà e genuinità.
Essendo il comandante Turi una persona estrosa che amava il divertimento e che riusciva a trasmettere spensieratezza e brio in quanti lo circondavano, dopo il suo ritorno dall’Argentina a Gioiosa Marea il carnevale gioiosano acquistò una nuova identità, reso unico, a partire dagli anni trenta, da lui che si era ispirato alla festosa Murga Porteña argentina: fu allora che don Turiddu, nonno del nostro benemerito concittadino, Onorevole, Ingegnere Salvatore Natoli, generosamente gli donò l’abbigliamento necessario per l’ occasione e cioè un frac nero con fodera di raso rossa, un cappello nero a forma di cilindro e un paio di guanti di colore bianco, mentre l’abbigliamento dello stravagante personaggio veniva completato da un paio di stivaletti rossi, un pantalone a quadri ed un violino che Turi aveva portato dall’Argentina: era il pomeriggio del giovedì grasso, quando in piazza Stazione si formò un corteo con a capo Turi Zampino dal volto truccato, che, indossando per la prima volta il folkloristico abbigliamento, creava il personaggio del “Murgo Gioiosano”.
Al suono delle allegre e scanzonate note del violino di Turi, un piccolo corteo, composto da grandi e piccini, si addentrava per le strade del paese, ingrossandosi sempre più e diventando un mare di folla esultante e danzante che cantando seguiva il Murguero Salvatore Zampino.
Negli anni che seguirono fu sempre organizzata dal Murguero Salvatore Zampino la stravagante orchestrina con fisarmonica, chitarra e mandola, suonate dai nipoti Turiddu, Carlo e Saro Santamaria. Successivamente, il quartetto dell’allegria si allargò con altri suonatori non professionisti che, con tamburi e altri strumenti completavano l’orchestrina. Le Murghe Gioiosane, nel tempo, divennero così popolari da indurre anche gli abitanti delle frazioni di Gioiosa e dei paesi circostanti a partecipare a tanta allegria.
La manifestazione carnevalesca ebbe un periodo di interruzione durante la disastrosa seconda guerra mondiale, essendo stato Salvatore richiamato alle armi come riservista. Negli anni cinquanta Salvatore Zampino non partecipò alle Murghe Gioiosane, perché attraversò l’oceano Atlantico per la seconda volta, avendo come nuova meta gli Stati Uniti d’America, ove soggiornò in un piccolo paese dello stato Ohio, Newton Falls, lavorando nei ristoranti dei fratelli Antonio e Calogero, emigrati dall’Italia negli anni venti.
Raggiunta l’età pensionabile, egli fece ritorno a Gioiosa Marea e negli anni che seguirono partecipò e continuò ad organizzare, come per il passato, le Murghe carnevalesche gioiosane.
Era la fine di una splendida giornata del dodici agosto del 1981 quando il sole, dopo avere tinto di rosso scarlatto l’orizzonte, volgeva al suo consueto tramonto tuffandosi nel mare, mentre l’anima del Comandante Turi volava dalla sua casa per le sconfinate e silenziose vie del cielo, lasciando per sempre tutti noi, fragili e miseri mortali, Gioiosa Marea, che tanto aveva amato, e le sue strade, che erano state il naturale palcoscenico sul quale si era esibito come principale e indiscusso protagonista per molti lustri.
Il suo mondo era stato tutto lì: Gioiosa Marea, luogo della sua anima, nel quale aveva potuto estrinsecare e trasmettere alle masse popolari, con grande spontaneità, la sua gaia, originale e forte carica interiore: indelebile resterà il ricordo del suo violino e del suo bizzarro abbigliamento: Salvatore ha lasciato alle generazioni gioiosane una preziosa eredità da custodire gelosamente: il Murgo.
Il Murguero Salvatore Zampino, che, grazie alla sua geniale personalità e al suo artistico, esilarante e coinvolgente portamento, ha entusiasmato e trascinato le masse popolari, vive ancora fuori dal tempo che tutto travolge nel suo inesorabile oblio.
Ancora oggi, infatti, ogni anno, per la comunità di Gioiosa Marea ,‘’La Murga di Salvatore Zampino” è simbolo di spensierata, vivace allegria.
E il vento di Maestrale, che spesso aveva gonfiato le vele della barca del comandante Turi durante le tante traversate verso le isole Eolie, soffia ancora…
Gioiosa Marea, 5 Febbraio 2016
prof. Giuseppe Costa