Luciano Mirone: “Un giornale può cambiare le coscienze se i giornalisti hanno un’anima”

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Il 14 novembre, a Patti, nella suggestiva location del bar Galante, si è svolto il secondo incontro con il giornalista Immagine3Luciano Mirone, ex allievo del Liceo pattese,organizzato dal “Club degli amici di Salvatore Quasimodo”. Ai saluti del presidente del Club, Carmelo Buttò, ha fatto seguito il discorso introduttivo della vicepresidente, Dara Ferlazzo. “Il mestiere di giornalista è soprattutto ascoltare, cercare, vedere per raccogliere tutte le informazioni”. Il giornalista che ascolta, che va alla ricerca di fonti non ufficiali, che profonde passione è da premiare perché- come ci ricorda anche l’UNESCO – contribuisce alla “libertà di espressione” e quindi aiuta a strutturare le coscienze. Luciano è uno di questi; il suo modo di fare giornalismo -“senza peli sulla lingua”- è la messa in pratica di un valore talvolta conculcato dalla nostra società: la ricerca della verità. La sig.ra Ferlazzo, interpretando il pensiero di tutti i presenti, ha chiesto all’ospite che cosa l’abbia spinto a diventare un giornalista che non si limita all’apparenza, ma che ha fatto della VERITA’ il suo vessillo di battaglia.
“Tutto nasce dall’incontro con Giuseppe Fava, la mia stella polare” così ha esordito Luciano che ha intrattenuto i presenti con il suo eloquio chiaro e incisivo.
Immagine1Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia, è il fondatore de “I Siciliani”, presso la cui redazione, dopo la morte del direttore, ha lavorato Luciano Mirone. “I Siciliani” è il primo giornale siciliano che ha cambiato le coscienze perché ha un’anima. “L’articolo è un mattone che devi cercare di far ingoiare al lettore, ma ci devi mettere un pezzo della tua anima e il giornalista ha un’anima quando si prefigge di portare a termine una missione: quella di scrivere la verità”. Non a caso andare a cercare la verità sulla morte di Giuseppe Fava ha rappresentato per l’ex studente pattese l’inizio di un percorso di scrittura che ha come cifra la formazione delle coscienze : “se ci si ferma all’apparenza il giornalismo non ha senso, diventa solo spettacolo o, nel migliore dei casi, solo audience”. Il “suicidio” di Fava è un copione che si ripete identico per altre vittime: Peppino Impastato ( su di lui Mirone ha scritto “Un suicidio di mafia” ), Mauro Rostagno, Cosimo Cristina, giornalisti recuperati dall’oblio cui erano destinati (straordinario il libro scritto da Mirone “Insabbiati, storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza”). Durante l’incontro Luciano si è soffermato sul “suicidio” di Cosimo Cristina, un giornalista nato a Termini Imerese che scriveva su varie testate compresa “L’Ora” di Palermo nonché fondatore del settimanale “Prospettive siciliane”, trovato -il 5 maggio 1960 – disteso sui binari, con il cranio fracassato.
Quando il nostro Mirone/Sherloch Holmes presta attenzione al caso, perviene a una conclusione differente, ovvero che il “cronista ragazzino” è stato “ucciso dalla mafia”. Il caso “Cristina” è diventato, così, l’argomento di una graphic novel, “genere”di scrittura/rappresentazione da cui Luciano Mirone e il disegnatore, Antonio Bonanno, hanno dimostrato di saper trarre risultati lusinghieri. Emerge, in particolare, come messaggio per il lettore la sottolineatura della missione del “vero” giornalista: “(…) il RICORDO (ovvero la commemorazione) è importante, ma il vero giornalista deve onorare la MEMORIA cioè raccontare quello che è successo, cercare la verità, fare giustizia (…)”.

Anna Milici

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