All’Agriturismo Santa Margherita le più belle canzoni siciliane di Mimmo Mollica e il “Bel” Mondo della canzone siciliana

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IMG_6132_1ALL’AGRITURISMO SANTA MARGHERITA LE PIÙ BELLE CANZONI SICILIANE DI MIMMO MÒLLICA E IL ‘BEL’ MONDO DELLA CANZONE SICILIANA
Il prossimo 5 agosto all’Agriturismo Santa Margherita di Gioiosa Marea la presentazione della riedizione del volume Le più belle canzoni siciliane di Mimmo Mòllica (Armenio Editore). Un convegno sulle tradizioni e le canzoni popolari siciliane per “rivivere le atmosfere che promanano dai testi e dalle musiche di quel repertorio”. Alla presentazione del volume Le più belle canzoni siciliane saranno presenti musicisti, operatori culturali e del turismo, estimatori della canzone siciliana ed ospiti della struttura turistica, tra le più frequentate e afferma della Sicilia e del versante tirrenico messinese
Gioiosa Marea (Me) – L’Agriturismo Santa Margherita di Gioiosa Marea sempre più punto di riferimento culturale, incubatore di eventi incentrati sulla cultura del turismo e dell’accoglienza, del gusto, dei sapori e delle tradizioni popolari della Sicilia. Mercoledì 5 agosto, a partire dalle ore 20, la grande terrazza a picco sul mare Tirreno, di fronte alle Isole Eolie, ospiterà la presentazione della riedizione del volume Le più belle canzoni siciliane di Mimmo Mòllica (Armenio Editore), considerato ormai un ‘classico’ nel suo genere, citato pure dalla grande scrittrice Dacia Maraini nel suo romanzo “La grande Festa” (Rizzoli, 2011).
Ne La grande Festa, la Maraini racconta di coloro che ha amato e che l’hanno amata, che non ci sono più e che vivono sempre dentro i suoi ricordi, citando (queste le sue parole) “il bel libro curato da Mimmo Mollica, Le più belle canzoni canzoni siciliane (Armenio Editore)”, nel quale Mòllica (ri)pubblica alcuni testi “non edulcorati da stupidi compiacimenti hollywoodiani”, come lei stessa scrive, da Ciuri Ciuri a ‘Vitti ‘na crozza, con tutto il repertorio canzonettistico siciliano più conosciuto e cantato al mondo.
Il successo del libro di Mimmo Mòllica è “la prova che la cancellazione della canzone siciliana da tutta la programmazione radiofonica e televisiva non è riuscita, malgrado tutto, ad ‘abrogare’ questo immenso patrimonio che tiene in vita la Sicilia, i suoi personaggi, le sue colonne doriche, le malefatte, la bellezza, la musica, la storia”, afferma Mimmo Mòllica, autore del volume edito da Armenio.
“C’è vita in quelle vituperate canzonette, – aggiunge Mòllica – c’è anima, e il tempo per schiacciare il serpente non sembra essere ancora venuto. Ad onta dei palinsesti e delle playlist, il cinema e la letteratura (r)esistono ancora a sovvertire gli oroscopi”.
Così il prossimo 5 agosto all’Agriturismo Santa Margherita di Gioiosa Marea si sono dati convegno un vasto gruppo di estimatori delle tradizioni e delle canzoni popolari siciliane per un incontro culturale e conviviale, il cui intento è di “rivivere le atmosfere che promanano dai testi e dalle musiche di quel repertorio, a torto ritenuto oleografico, non proprio meritevole di rappresentare una delle chiavi culturali della Sicilia, così come il vasto repertorio riconducibile al canto di ricerca, per cui la nostra Isola e il mondo devono essere grati ad estimatori e studiosi quali il Pitrè, il Vigo, il Salomone Marino, il Favara, Ottavio Tibi e quanti qua non citati hanno raccolto e catalogato quell’immenso repertorio di canzoni, frammenti e strofe detti di ricerca, che conservano e tramandano l’anima vera della Sicilia”, come afferma Mimmo Mòllica.
Alla presentazione del volume Le più belle canzoni siciliane saranno presenti musicisti, operatori culturali e del turismo, estimatori della canzone siciliana ed ospiti della struttura turistica, tra le più frequentate e afferma della Sicilia e del versante tirrenico messinese.
Con l’autore Mimmo Mòllica saranno della partita Peppuccio Molica Colella, animatore e titolare di Santa Margherita, Paolo Borà, vincitore di una edizione della Corrida di Gerry Scotti, con il suo gruppo, ; l’editore Antonino Armenio; l’artigiano-scultore Filippo Olivo; Filippo Spinella, medico di professione ed appassionato-esecutore del repertorio canzonettistico siciliano; Gino Agnello, antesignano degli animatori turistici, intrattenitore per anni del Villaggio Turistico di Capo Calavà; Giorgio Ferlazzo e Mario Mirtillo, gloriosi componenti e fondatori, assieme a Mimmo Mòllica, della Sgeeng’s Wine & T., cui si deve il mantenimento in vita di un vasto repertorio di canzoni popolari gioiosane e la scrittura di un buon numero di canzoni su Gioiosa Marea e i suoi personaggi (da Nunzio Sciumecchi a Vena ed Elena ‘I Ridduciuti, il Comandante Zampino e il Murgo, Mario Pillicchino, Petro ‘Aranda e molti altri). Insomma, il ‘bel mondo’ della canzone siciliana.

Nel corso della serata saranno pure ricordati tali personaggi e saranno lette e recitate composizioni a loro dedicate.

Santa Margherita Le più belle canzoni siciliane

(Testo aggiuntivo)
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Nel suo romanzo La grande festa, Dacia Maraini racconta della nonna materna, Sonia Ortúzar Ovalle, cantante lirica che non poté mai debuttare e del ritorno in Sicilia, presso i nonni materni, nella Villa Valguarnera di Bagheria. La Maraini, del resto, parla spesso della terra siciliana: “nel momento in cui ho deciso, dopo anni e anni di rinvii e di rifiuti, di parlare della Sicilia. Non di una Sicilia immaginaria, di una Sicilia letteraria, sognata, mitizzata.” (Dacia Maraini, Bagheria).

Così ne La grande festa la scrittrice parla di una Sicilia minore rispetto a quella della mafia ma ugualmente ben conosciuta: «Conoscevo troppo bene le arroganze e le crudeltà della Mafia che sono state proprio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a nutrire e a far prosperare perché facessero giustizia per conto loro presso i contadini […] Io non ne volevo sapere di loro», scrive Dacia Maraini in Bagheria.
Ne La grande festa – dicevo – la Maraini parla di una Sicilia ‘minore’: gli abusi del mugnaio, del mulinaio, che avrebbe voluto far macinare la ragazza prima degli altri e farle le buone misure, per scontarsele (le ‘buone misure’) al momento opportuno, magari là dove sono custodite le botti: dda si li scunta li boni misuri (là se le sconta le buone misure).

Mamma non mi mannari a lu mulinu: / lu mulinaru mi vurria vasari. /
Di l’ura chi mi vidi cumpariri / mi scàrica e mi stùia lu suduri. /
Prima di tutti mi fa macinari, / a mia sula fa boni misuri, /
quannu vaiu a la vutti p’affacciari / ddà si li scunta li boni misuri.

Mamma non mi mandare al mulino / il mulinaio mi vorrebbe baciare. /
Dal momento che mi vede comparire / mi scarica e m’asciuga il sudore. /
Prima di tutti mi fa macinare / a me soltanto fa buone misure; /
quando vado alla botte ad affacciare / là se le sconta le buone misure.

“Canzone popolare, che bada ai fatti, – scrive ne La grande festa Dacia Maraini – non edulcorata da stupidi compiacimenti hollywoodiani. La ragazza si lamenta delle facilitazioni del molinaio, perché poi, come si conviene nei rapporti di mondo, vorrà la ricompensa e lei non è disposta ad accontentarlo. Quanto le costerebbe avere saltato la fila, avere avuto “boni misuri” per la farina? Segno fra l’altro che il mugnaio faceva spesso li ‘mali misuri’, ovvero truccava le misure per consegnare meno farina. Ma la madre avrà dato ascolto alla figlia? E’ probabile che non lo avrà fatto. Chi poteva mandare al mulino la povera madre se non aveva figli maschi in casa? E’ la storia di tante madri che ancora oggi spingono le figlie a subire, contrattare, ad accettare gli abusi pur di guadagnare, magari non un poco di farina ma un poco di celebrità televisiva e un lavoro considerato vantaggioso”.

“Yuki cantava dolce – racconta Dacia Maraini in La grande festa – con una voce piena e umile, gentile e raffinata. La voce che aveva ereditato dalla nonna Sonia, la quale era venuta dal Cile per studiare canto alla Scala di Milano dove conobbe mio nonno Enrico Alliata”.

“Ma sebbene avesse una voce soave e potente – scrive della nonna materna, Dacia Maraini – a Sonia Ortúzar non era stato permesso di cantare in pubblico. Una signorina di buona famiglia non poteva salire sul palcoscenico senza essere considerata una prostituta. La nonna Sonia non ha mai digerito quella proibizione. […] Una voce da soprano lirico, elogiata da Caruso in persona, costretta a qualche concerto di beneficienza, ma come è possibile? Ad un certo punto la nonna, bellissima bruna dagli occhi grandi e scintillanti, era scappata con l’innamorato del momento. Aveva messo casa “in Italia”, ovvero fuori dalla Sicilia, lontana dal marito e dalle figlie”.

E la storia si ripete. Ricordo bene cosa mi raccontava Rosa Balistreri, la ‘cantatrice del Sud’, scoperta da Dario Fo in “Ci ragiono e canto”, per spiegarmi quanto fosse stato penoso e definitivo per lei farsi cantatrice, cantante di professione: Rosa dovette fuggire dalle grinfie di un padre padrone e di un marito animalesco cui era stata ‘data’ in moglie a soli 14 anni. Sua sorella fu scannata a Firenze dal marito, poi rinchiuso per 24 anni e 6 mesi nel manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto.

“Il nonno desiderava sinceramente la pace, – racconta ancora Dacia Maraini ne La Grande festa – era vegetariano, seguiva le dottrine antroposofiche di Rudolf Steiner, si dedicava personalmente a coltivare le vigne di Casteldaccia secondo i principi biodinamici, lavorava assieme agli operai nella azienda vinicola Il Corvo, preferiva il cavallo all’automobile, trattava da amici e da uguali i servitori, era fervente lettore di Virgilio, di Voltaire, di Pascal, di Cesare Beccaria”.

Guvernu ‘taliànu / si’ veru buttànu / ci suchi lu sangu / a lu pover’omu. /
Li tassi chi metti / su’cosi tremèndi / chi fannu trimàri/ li spaddi e li denti. /
C’è tassi pi tuttu: manciàri e bivìri, / vigghiàri e durmìri, / campàri e murìri. /
C’è sulu du’ cosi ‘nta chistu mumentu / chi non su’ suggetti / a lu tassamentu.
Guvèrnu ‘taliànu ti ringràziu,/ chi pi pisciàri non si paga dàziu. /
E chi pi farsi ‘na ca-ca-cantàta / non c’è bisògnu di carta bullàta.

Governo italiano / sei davvero puttano / gli succhi il sangue / al pover’uomo. /
Le tasse che metti / sono cose tremende / che fanno tremare le spalle e i denti. /
C’è tasse per tutto: / mangiare e bere, / vegliare e dormire, / campare e morire. /
Ci sono solo due cose / in questo momento / che non sono soggette / al tassamento. /
Governo italiano ti ringrazio, / che per pisciare non si paga dazio. /
E che per farsi una cantata / non c’è bisogno di carta bollata.

“Una canzone che ho trovato nel bel libro curato da Mimmo Mollica, Le più belle canzoni siciliane, per Armenio editore”, scrive Dacia Maraini.
“Yuki cantava seduta su uno sgabello, la gonna poco sollevata per tenere in grembo la chitarra, come un figlio tenerissimo:”

Bedda risvìgghiti /ch’u sonnu è viziu, / oh, chi sdillìziu / vicino di te. /
E non mi diri làriu / e non mi diri bruttu / sennò mi spinnu tuttu /
tutto mi spinnerò.

Bella risvegliati / che il sonno è vizio, / oh, che delizia / vicino a te. /
E non mi dire laido / e non mi dire brutto / sennò mi spenno / tutto /
tutto mi spennerò.

“Una nota malinconica si insinuava nelle onde musicali, anche quando cantava ballate festose. La nota dolorosa di un destino poco felice. Con tanti talenti dispersi, una inimicizia nascosta verso la spensieratezza, come se dovesse scontare un peccato non suo, qualcosa di avverso e sconsiderato di fronte a cui ha dovuto chinare la testa”.

Chinare la testa, come l’uomo è costretto a fare dinnanzi alla morte e al suo mistero. Cosa davvero molto diversa è doverlo fare dinnanzi alla tirannide, alla politica dei partiti, alla stupidità o all’ignoranza. Così non è facile rassegnarsi all’idea che la canzone popolare siciliana debba essere consegnata unicamente alla ricerca, ai musei o all’oblio. C’è tanta vita ancora in essa e sempre ce ne sarà. Dacia Maraini ne è testimone.

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